L’esoterismo di Andrea Palladio: Villa La Rotonda tempio del logos

Andrea Palladio si forma in un’epoca e in un ambiente in cui torna prepotentemente alla ribalta una certa concezione platonica del mondo, divulgata entro accademie, la quale, senza soluzione di continuità, prende le mosse dagli antichi lirici greci e, attraverso Pitagora e Platone, arriva fino a Dionigi Areopagita. Questa “filosofia perenne” non è altro che il progressivo rivelarsi del Logos divino; il compito del filosofo, ma potremmo dire dell’uomo rinascimentale in genere, consiste nel portare alla luce la verità numinosa che si cela dietro le varie credenze mitiche e le filosofie, attraverso la sua specifica arte. Villa La Rotonda, con la sua dichiarata vocazione a essere dimora-tempio, potrebbe essere la sintesi architettonica tanto dell’assimilazione da parte del Palladio del concetto platonico di Logos, quanto del suo percorso evolutivo interiore, in altre parole del suo cammino iniziatico.

Premessa

Prima di entrare nel merito dell’intervento, riteniamo necessario dare un rapido quadro storico della Vicenza in cui Andrea Palladio cresce e si afferma, assieme a una definizione dei termini “esoterismo” e “logos” che compaiono nel titolo di questa esposizione.

Vicenza, città di fermenti non solo intellettuali

A una prima vista, la Vicenza di metà ‘500 era tutto tranne che «una Atene dedita alle arti e all’architettura»,[1] come afferma il Beltramini, che prosegue dicendo che «era una città dove si uccideva per poco, e a tutti i livelli». Erano infatti all’ordine del giorno risse, omicidi e tumulti che riguardavano tutti gli strati della società, dal popolo alle famiglie nobiliari, compresa la famiglia stessa di Andrea. Risulta infatti che il figlio primogenito del Palladio, Leonida, sia stato processato nel 1569 per aver ucciso un uomo a coltellate.

Anche il canonico Paolo Almerico, futuro committente de La Rotonda, viene incarcerato per ben due anni e mezzo, a Venezia, con l’accusa di omicidio, rivelatasi poi infondata, [2] di tale Bartolomeo Pagliarino, pure quest’ultimo cliente del Palladio.[3]

Se le cronache tramandano un clima da film splatter, in realtà il fermento rinascimentale era ancora nel pieno, dal punto di vista politico, culturale, religioso, fino anche, come già detto, esoterico.

In ambito politico, Vicenza è una città da sempre in equilibrio bistabile tra il potere imperiale, rappresentato in passato dagli scaligeri e dai Visconti, e quello della Serenissima, a cui si consegna come “figlia primogenita e fedele” nel 1404, prima città della terraferma annessa dalla repubblica marinara. Questa tensione, mantenuta dalle famiglie aristocratiche tra loro antagoniste, fu la causa di alcune guerre avvenute agli inizi del ‘500, che naturalmente si lasciarono dietro numerose macerie, specie tra i palazzi nobiliari, che furono poi il motivo di un fermento ricostruttivo non scevro dalla ricerca di nuove soluzioni architettoniche distanti dall’ormai desueto stile gotico. Fermento entro il quale è lecito supporre si sia mosso ammirato e curioso il giovanissimo Andrea di Pietro della Gondola, al suo definitivo approdo in questa città.

La vita culturale vicentina fu animata principalmente da colui che diverrà il primo mentore e mecenate di Andrea: Giovanni Giorgio Trissino, che fu anche colui che gli impose il nome che lo renderà eternamente famoso in tutto il mondo. Appartenente a una famiglia nobile e di antiche origini, da sempre schierata per l’Impero, cosa quest’ultima che gli costò anche un lungo esilio dalla sua città natale, il Trissino fu il tipico intellettuale rinascimentale, poliedrico ed eclettico. Fu grazie all’esilio che ebbe la possibilità di diventare membro di accademie platoniche tra Roma e Firenze, dove conobbe alcuni tra i personaggi più influenti dell’epoca. Rientrato a Vicenza, dà vita nella sua villa di Cricoli a una propria accademia denominata “Accademiæ Trissinæ lux et rus”. Ma, a differenza di quelle a cui lui stesso fu ammesso, riservate ai nobili, l’accesso alla sua era basato sul merito.[4] Fu in virtù di questo principio che il Palladio poté esservi ammesso, in quanto questi non possedeva alcun titolo nobiliare.

Dal punto di vista religioso, Vicenza fu teatro di fermenti riformatori, in cui era coinvolto lo stesso Trissino. Pur essendo sempre stato formalmente un sostenitore del cattolicesimo romano e vicino al papato (era infatti tra coloro ai quali fu concesso di reggere il manto papale, durante l’incoronazione di Carlo V[5]), la sua concezione religiosa si mantenne in bilico, al limite dell’eresia riformista,[6] portandolo ad auspicare una restaurazione morale della Chiesa di Rom e della sua gerarchia; temi, questi, centrali nella Riforma luterana. Concezione che travasò totalmente nel suo poema più noto, Italia liberata dai Goti.[7]

Oltre a ciò, sembra che Vicenza abbia ospitato nel 1546 i Collegia Vicentina,[8] che coinvolsero esponenti delle principali famiglie nobiliari, tra cui i Trissino, i Negri, i Thiene, i Curti, tutte famiglie che, circa un paio di secoli dopo, saranno protagoniste della Massoneria vicentina; incontri che molto probabilmente funsero da lavori propedeutici al successivo Sinodo Anabattista,[9] tenutosi a Venezia nel 1550. Interessante notare che il 1546 fu anche l’anno in cui il giovane architetto Andrea della Gondola, sponsorizzato dai Trissino e dai Valmarana, ricevette l’incarico per la ricostruzione della Basilica.

Dal punto di vista esoterico e iniziatico, a voler dar credito al libello di Jacques-François Lefranc,[10] a Vicenza ebbe origine la prima e vera Massoneria, sempre nel 1546.[11] Da dove il Lefranc abbia ottenuto questa informazione, peraltro più di due secoli dopo, non è dichiarato. Resta la domanda su cosa lo abbia indotto a fare un’affermazione come questa. Senza dubbio conosceva l’opera delle accademie neoplatoniche e pitagoriche di cui abbiamo già fatto menzione, e forse anche dei testi che circolavano non solo a Vicenza, ma in tutto il territorio della Serenissima, tra cui il De harmonia mundi totius cantica tria, del francescano veneto Francesco Zorzi,[12] pubblicato a Venezia nel 1525, che costituisce un audace progetto sincretico di concordanza universale del sapere, avviato da grandi figure come Marsilio Ficino o Pico della Mirandola, che spazia dall’ermetismo fino alla cabbala cristiana.[13]

Quello che è certo, invece, è che un paio di decenni dopo la morte di Palladio, molti architetti e massoni inglesi, tra cui Inigo Jones, Matthew Brettingham il Vecchio, Sir William Chambers (architetto del sovrano inglese Giorgio III e famoso occultista), Sir Christopher Wren junior, Adam e James Robert e molti altri ancora, vennero a Vicenza alla ricerca di qualsivoglia informazione e materiale sul grande architetto, che proprio dalla massoneria fu inserito tra i grandi che ridettero lustro alla Geometria. In particolare dall’Anderson, che nelle sue Costituzioni afferma: «Il Grande Palladio, che tuttavia non è stato sufficientemente imitato in Italia, ma giustamente imitato in Inghilterra dal nostro grande Maestro Massone Inigo Jones».[14]

Inigo Jones fu tra i primi a visitare Vicenza, nel 1613 e a procurarsi dallo Scamozzi un considerevole quantitativo di disegni originali del suo maestro. Verrebbe da chiedersi in virtù di quale relazione questi abbia ceduto così “a cuor leggero” quei preziosissimi disegni a Inigo Jones. Semplici relazioni di mestiere tra gilde, o qualcosa che andava oltre, da ricercarsi nella particolare formazione che il Palladio aveva ricevuto dai suoi mentori, e che verosimilmente può aver condiviso con il suo braccio destro?

Non è possibile, purtroppo, dare una risposta certa a questo interrogativo. Di certo tutti i fermenti culturali, religiosi e conoscitivi in senso lato sopra accennati non escludono a priori che Palladio o persone dell’Accademia Trissiniana possano essere entrate in contatto con una realtà che già nella seconda metà del ‘500 sembra emergere in Scozia dalle logge di mestiere, che erano logge itineranti in cerca di lavoro, come molte realtà analoghe in tutta Europa.[15]

Cenni sul significato di esoterismo

La prima cosa che viene naturale chiedersi è se ha senso parlare di esoterismo per quanto riguarda l’opera di un architetto in generale, e di Andrea Palladio in particolare. Per fare questo faremo un breve cenno al percorso di formazione del Palladio e alle opere che, stando a molti critici, avrebbero informato non solo la concezione de La Rotonda, ma anche tutti i suoi progetti.

Anzitutto, soffermiamoci sul termine esoterismo. È un sostantivo, apparso per la prima volta nel 1792,[16] che deriva dall’aggettivo “esoterico”, che in greco stava a indicare tutto ciò che è interno, interiore e, in un certo senso, riservato. Sappiamo ad esempio che le opere di Aristotele erano suddivise in “essoteriche”, cioè destinate a un vasto pubblico, ancorché colto a sufficienza per comprenderle, ed opere “esoteriche”, riservate cioè ai membri della sua scuola.

Se poi ci atteniamo ai sei significati del termine esoterismo, individuati dal Faivre,[17] troviamo che forse quello che meglio può adattarsi a descrivere l’opera di Andrea Palladio in particolare, è il sesto, ossia “un insieme di correnti storiche specifiche”. Nella fattispecie, quell’insieme di zoroastrismo, gnosticismo, ermetismo, pitagorismo e platonismo che proprio all’inizio del Rinascimento fa il suo ritorno nella cultura occidentale, ad opera di personaggi quali Giorgio Gemisto Pletone, o i già citati Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, solo per citarne alcuni, che iniziarono a riunire e restituire al mondo culturale in fermento della loro epoca, materiali antichi in alcuni casi ritenuti perduti. Un aspetto che riteniamo importante sottolineare, perché potrebbe essere stato determinante nell’impegno con cui il Palladio, all’inizio del suo sodalizio con il Trissino, si dedicò allo studio delle opere antiche, è la convinzione sorta in quei pensatori rinascimentali che alla base di tutto, di tutte le correnti storiche e dei testi da loro studiati, ci fosse un unico ininterrotto flusso di saggezza, da loro definita philosophia perennis, che unisse in un’unica catena Zarathustra, Mosè, Ermete Trismegisto, Pitagora, Platone e così via.

Dimostrare una tale influenza sull’opera è impresa assai ardua, stante anche le ormai definitive informazioni storiche a riguardo. Ma se con “esoterismo” vogliamo alludere genericamente a tutto ciò che Andrea Palladio ha fatto entrare in sé, secondo l’accezione del termine proposta da Marques-Riviere,[18] vuoi per osservazione diretta, oppure attraverso gli insegnamenti ricevuti dai suoi mentori, e che poi ha immesso nella sua opera, senza necessariamente dichiararne il riferimento esplicito, in questo caso, allora, possiamo convenire che traspare molto di tutto ciò, come hanno già evidenziato illustri autori come Wittkower o Boucher.

Alcuni aspetti del logos

Quando si parla di logos, la memoria ci rimanda ad Eraclito,[19] il filosofo di Efeso detto anche l’Oscuro. L’opera che lo rese famo so, che secondo la tradizione avrebbe deposto sull’altare del tempio di Artemide in segno di voto,[20] sottraendola sdegnato all’incomprensione dei più, inizia proprio con la lamentazione del fatto che gli uomini restano sempre inconsapevoli di fronte al logos, che l’abbiano ascoltato o meno.

Per Eraclito il logos universale è, tra le altre cose, “ordine” (kósmos), “anima” (psyché) e “armonia segreta” allo stesso tempo. Inizio e fine di un cerchio, «fuoco sempre-vivo» attraverso le cui trasformazioni i quattro elementi della natura si trasmutano uno nell’altro. È manifestazione dell’essere, e quindi allo stesso tempo verità, nel senso dell’etimo greco del termine.[21]

Nell’opera di Eraclito, possiamo ritrovare la stessa atmosfera del Prologo del Vangelo attribuito a Giovanni, il quale, secondo la tradizione, risiedette proprio a Efeso, dove infine morì dopo l’esilio di Patmos.

Rudolf Steiner, in un ciclo di conferenze sui Misteri Antichi,[22] spiega che nel tempio di Efeso erano coltivati particolari misteri legati alla parola, al logos, il Verbo. Inoltre, prosegue Steiner, venivano coltivati i segreti degli organi fisico-spirituali preposti alla funzione del linguaggio umano che – continua Steiner – sono “in rapporto con il segreto dell’uomo stesso” e con gli elementi di aria, acqua e fuoco. Possiamo notare una certa assonanza di quanto dice Steiner con le concezioni eraclitee del logos.

Successivamente, attraverso gli Stoici, che furono i più importanti interpreti del pensiero eracliteo, il logos assume sempre più i connotati di Intelligenza divina, mediatrice tra il dio unico e immutabile, estraneo al divenire, e il mondo creato in maniera imperfetta nonostante a sua immagine e somiglianza. In questo modo, il pensiero greco, a partire da Platone, risolse la dualità Dio-mondo rendendo il secondo dipendente ontologicamente dal primo, attraverso la creazione. Questa dottrina è stata poi massimamente sviluppata dai neoplatonici, nel cosiddetto emanatismo, secondo cui Dio è l’assolutamente incomprensibile e ineffabile, al punto che con massima approssimazione si può solo chiamarlo impropriamente l’Uno, e da lui deriva la realtà per emanazioni o ipostasi successive. La seconda ipostasi è proprio il Logos, il Verbo o Intelligenza divina, che racchiude in sé le idee di tutti i possibili esseri esistenti. Da questo emana l’Anima, terza ipostasi, che infonde il principio vitale all’universo corporeo. Quest’ultimo risulta imperfetto a causa della Materia, che non è emanazione divina, ed è per sua stessa essenza priva di realtà e di bene.

Questa dipendenza ontologica, riassunta dalla Trinità neoplatonica, è forse quella che Platone sottintende nel discorso allegorico sulla creazione del mondo, esposto nel Timeo.[23] In questo testo confluiscono le idee dominanti di tutta la filosofia greca fino a quell’epoca, in particolare il pitagorismo, riscontrabile nell’attitudine dell’Artefice a creare il mondo secondo proporzioni matematiche razionali (logos, ratio).[24] Dice infatti Platone: «Dio introdusse proporzioni in ciascuna [cosa] e con se stessa e in rapporto con le altre, quante e dove era possibile…».[25]

L’azione edificatrice del Demiurgo, infatti, opera solo con le medie aritmetica e armonica e segue esattamente la suddivisione pitagorica dell’ottava musicale, a sottolineare il fatto che le leggi poste a fondamento del cosmo sono le stesse leggi della musica o dell’armonia.

Riguardo a quest’ultimo termine, che in greco significa “collegare” e anche “mettere d’accordo”, è interessante notare che ha la stessa radice (ar-) dei vocaboli arte e aritmetica. L’arte è allora ciò che collega il piano divino a quello umano, così come l’aritmetica ne esprime i concetti attraverso i numeri. Vedremo più avanti come questa analogia ritornerà nel concetto di tempio.

Questo aspetto dell’Artefice è quello che ha portato Plutarco ad affermare che secondo Platone “Dio sempre geometrizza”,[26] che, alla luce di quanto detto, potremmo parafrasare in: “Dio sempre armonizza”.[27]

Il concetto di villa come tempio

Il tempio

Con il termine templum (tempio) in antichità si intendeva inizialmente una porzione dello spazio al di sotto di un settore celeste che un sacerdote delimitava con precisi gesti rituali, spesso compiuti brandendo uno attrezzo rituale. Nell’antica Roma, e già prima presso gli etruschi, tale atto veniva compiuto dagli àuguri,[28] i quali tracciavano prima una porzione di cielo con il lituus[29] (da cui deriva l’odierno termine liturgia), e successivamente si cimentavano nell’osservazione dei fenomeni naturali (compreso il volo degli uccelli), da cui poi trarre un responso detto augurium. Come anche nelle culture più antiche di quella romana, tale responso aveva valore ed effetto nelle istituzioni. In questo senso, il tempio era luogo in cui il sacro si univa, o per meglio dire discendeva, entro la vita della polis, ossia nella politica.

Ciò che avveniva nel tempio era una sorta di espansione della dimensione spazio-temporale ordinaria, aveva lo scopo di riprodurre analogicamente in Terra l’ordine del Cosmo – che, ricordiamolo, significa anzitutto “bellezza” – secondo la massima ermetica del “ciò che è in basso è come ciò che è in alto”.[30] Questi atti sacri realizzavano quindi la coabitazione sotto lo stesso tetto, ancorché effimero, della dimensione umana e divina, ponte necessario per poter replicare nelle cose umane l’ordine, l’armonia, la ciclicità, la regolarità osservata in cielo.

In seguito, il tempio diviene un luogo permanente, un edificio separato dalla polis, delimitato da strutture naturali o artificiali che stavano a indicare la sacralizzazione definitiva di una superficie, accessibile solo a persone in possesso di particolari requisiti morali e animici, nella quale vengono a coincidere tanto il concetto di sacro che quello di santo.[31] Uno spazio nel quale il legame tra umano e divino emana anche al di fuori dell’edificio stesso, dando così origine alla cosiddetta religione.

Appare così naturale conseguenza che l’arte edificatoria, specie quella templare, diventi la massima espressione umana in Terra di ciò che quell’atto captatorio dell’augure coglieva nel cielo. In quest’ottica, l’edificazione si prefigura quindi come «un potere sacrale, necessitato, rafforzativo o integrativo».[32]

Emblema archetipico di questo legame, e della coesistenza di sacro e santo, era il primo Tempio di Salomone, al cui interno si trovata appunto il Santo dei Santi, l’area più sacra di tutto l’edificio in cui poteva entrare solo il Sommo Sacerdote e dove la presenza continua della divinità era rappresentata simbolicamente dall’Arca dell’Alleanza (che contiene le Tavole della Legge), dalla Verga di Aronne (torna il simbolismo del bastone già visto con gli àuguri), dalla Manna e dall’Olio dell’Unzione.

Una delle caratteristiche “religiose” del Tempio di Salomone era rappresentata dalle due colonne si trovavano all’esterno, il cui profondo simbolismo rimanda anche all’Albero della Vita e all’Albero della Conoscenza del bene e del male, che si trovavano nell’Eden. Oltre a sancire il passaggio da “fuori” a “dentro” (e viceversa), esse stabilivano il legame tra quanto veniva colto all’interno e la vita sociale che si svolgeva all’esterno di esse.

Troviamo tutto ciò ben nascosto nei simboli e nei rituali adottati dalle corporazioni di mestiere dedite all’arte edificatoria. Anticamente, infatti, quando tali corporazioni si riunivano, erano sempre presenti di due figure emblematiche, chiamate simbolicamente Jachin e Boaz, ossia i nomi delle due colonne summenzionate. Questi due personaggi, che erano gli unici non muratori, pertanto estranei alla corporazione ancorché allo stesso tempo “accettati” in essa, erano un cappellano e un medico. Essi rappresentavano il massimo sapere profano (che significa letteralmente “fuori dal tempio”), ossia la scienza e la religione. La prima detiene le conoscenze del corpo e della vita, l’altra invece le conoscenze dell’anima, sebbene non quelle occulte, o esoteriche. Questi due grandi pilastri rappresentavano pertanto i sostegni della civiltà. È vero infatti che una civiltà degna di questo nome non può fare a meno né di scienza, né di religione poiché senza scienza la società è primitiva, mentre senza religione è una società barbara. Possiamo trovare la stessa affermazione nei Quattro Libri, nel “Proemio ai lettori” del III, laddove, parlando della religione, afferma che senza di essa «è impossibile che si mantenga alcuna civiltà[33]

Una caratteristica universale che possiamo quindi ricavare dal Tempio per antonomasia è la sua funzione di confine, limes collettivo e individuale che discrimina tanto il dentro dal fuori, quanto il sacro (così come il santo) dal profano (letteralmente colui che si trova pro fanum, cioè fuori dal tempio). Oltre a ciò, per estensione di questa caratteristica, nel contesto del tessuto urbano, il tempio ha anche una funzione orientativa, che trascende però quella fisica collettiva dell’urbs,[34] per raggiungere quella metafisica individuale, esortando a rispondere alle tre domande esistenziali: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, come ricorda l’iscrizione sul tempio di Delfi.

Un primo sguardo sull’opera

Villa La Rotonda assurge a ruolo di tempio, se non altro per qualcuna delle caratteristiche sopra esposte?

Osserviamo intanto che Andrea Palladio colloca il progetto della villa nel Secondo dei suoi Quattro Libri, «nel quale si contengono i disegni di molte case ordinate da lui dentro e fuori della città…»,[35] ossia i cosiddetti “palazzi”. A rigor di logica, quindi dovremmo chiamarlo “palazzo La Rotonda”. Inoltre, non presenta nessuna delle caratteristiche delle sue famose ville di campagna, in cui gli elementi residenziali e di rappresentanza si coniugano armoniosamente con le esigenze del lavoro dei terreni circostanti.

Naturalmente, non è solo la contiguità con la città il motivo per cui viene collocata in questo libro. È la sua stessa collocazione rialzata che evoca tanto il concetto di limes quanto quello di sistema di orientamento per chi naviga nel livello inferiore della vita ordinaria, come si svolge ai piedi della collina. La villa, per di più, è perfettamente orientata ai quattro punti cardinali con i suoi spigoli, segno di una utilitas non solo riferita al piano dell’irraggiamento ottimale di calore e luce degli interni, ma anche a quello astronomico dello scorrere del tempo. Segno di una precisa volontà dell’architetto di accordare la ciclicità macrocosmica, scandita dall’incedere del Sole tra i dodici segni, a quella microcosmica della vita quotidiana tra l’Alba e il Tramonto.

Luce e circolarità del tempo, che dominano fortemente l’intero progetto, li ritroviamo nel Prologo del Vangelo di Giovanni, elogio del logos che si manifesta fino alla sua ipostasi più bassa, dentro la carne. Facciamo notare come questa discesa del logos nella materia, fino dentro le viscere della Terra, sia espressa dal verbo “abitare” (che a nostro parere rende in maniera insufficiente il greco ἐσκήνωσεν). Dice infatti Giovanni: «Καὶ ὁ Λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν» (e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi).[36] Il verbo σκηνόω (skénoó), infatti, significa “abitare in una tenda” o anche, in contesto biblico, erigere un tabernacolo, che in greco si dice appunto σκηνή (skéné).[37] Torna così il concetto di tempio e di edificazione sacra che abbiamo visto poc’anzi.

Tempio del logos

In che senso è possibile ipotizzare un esoterismo in Andrea Palladio? Non certo ipotizzando che abbia fatto parte di un qualsivoglia Ordine iniziatico (la nascente massoneria speculativa o la corrente rosacruciana solo per citarne alcuni), ipotesi insostenibile e anche inutile. Meglio cercare di comprendere dove e come abbia trasfuso i concetti assimilati nel corso della sua vita, considerando anche il peculiare percorso di trasformazione da lapicida ad architetto.

Può allora Palladio aver colto l’occasione di una così notevole opportunità, come quella datagli dalla commessa dell’Almerico, per infondere in un’unica opera la summa di tutte le dottrine Platoniche, sia quelle scritte che quelle non scritte?

A un primo e rapido sguardo della pianta, emerge la figura della croce, la quale, se non rimanda immediatamente al concetto platonico di anima mundi, di certo evoca le basiliche paleocristiane. Che la Rotonda sia un tempio, ce lo dice lo stesso Palladio, nel Quarto libro, dove sostiene che nella loro edificazione «…si convenisse à ciascuno de’ loro Dei non solo nell’eleggere i luoghi, ne’ quali si dovessero fabricare i Tempii, … ma ancho nell’elegger la forma: onde al Sole, et alla Luna, perché continuamente intorno al Mondo si girano, et con questo lor girare producono gli effetti à ciascuno manifesti, …».[38]

Trapela in questa affermazione tutta la conoscenza di Palladio del Timeo, testo centrale della cultura rinascimentale, al punto che anche Raffaello lo dipinge sotto al braccio di Platone, nel suo affresco sulla Scuola di Atene. Qui[39] vi possiamo infatti leggere che l’Artefice diede al mondo la forma che gli si conviene, ossia quella tonda e sferica che comprende tutte le altre, e che tra i sette movimenti possibili[40] gli impresse quello che «conviene all’intelligenza e alla saggezza»,[41] ossia quello circolare.

La croce come richiamo all’anima mundi e la “rotondità” sono già due elementi che rimandano al logos platonico del Timeo. Ma c’è un altro aspetto compositivo della pianta, che a nostro parere invia fortemente al logos. Abbiamo visto che essa è il risultato della composizione armonica di due sole figure elementari: il cerchio, di cui abbiamo già detto, e il quadrato. Senza entrare nel merito del significato del quadrato, osserviamo questa immagine:[42]

Fig. 1 – Composizione della pianta basata sul quadrato

In essa vediamo che tutta la pianta è il risultato compositivo di tre soli quadrati: quello centrale (ABCD) in cui è inscritto il cerchio che determina in alzato la grande aula centrale con il suo originario oculo; quello più esterno (A’B’C’D’), che girando attorno al primo determina il perimetro esterno e gli spazi abitativi interni della villa; infine il terzo e ultimo quadrato (A’’B’’C’’D’’), che ruotando attorno ai primi due determina le scale d’accesso e i portici esastili, altro elemento che ci rimanda al tempio, presente sotto varie forme in quasi tutte le ville palladiane.[43]

Cogliamo in questo modulo compositivo un’analogia profonda con i tre logoi platonici, a cui si è accennato poc’anzi: il quadrato centrale è l’Uno, contenendo il cerchio o la sfera perfetta attraverso cui passa l’axis mundi che sostiene l’intero creato; il secondo invece è il Logos stesso, in quanto crea il mondo esteriore e fruibile delle stanze abitative secondo la terna “logica” di ordinatio, dispositio, distributio; infine il quadrato esterno, che determina quelle parti dell’opera che si protendono all’esterno di essa, aprendosi alle quattro direzioni e dando così alla pianta la caratteristica forma di croce, nella stessa maniera in cui l’Anima, terza ipostasi, viene “crocifissa” al mondo stesso.

C’è un ultimo elemento a conferma che questa villa-tempio è dedicata al logos, ossia l’oculo. Nel descrivere la stanza centrale della Rotonda, [44] Palladio sottolinea come la luce debba entrare dall’oculo sovrastante, pur avendo sapientemente orientato la villa  in modo che potesse penetrare anche da tutti i lati, come già detto. Oggi non c’è l’oculo, bensì una lanterna, ma chiediamoci comunque quale sia la qualità di questa luce, proveniente dalla verticale.

Da quel foro di un metro di diametro, la luce avrebbe assunto nel corso del giorno sempre diverse angolazioni, illuminando e lasciando in ombra zone sempre diverse della sala centrale, come anche dei quattro corridoi che da essa si dipartono. Questa continua coesistenza di luce e ombra ci fa riandare nuovamente al Prologo di Giovanni, in cui si dice «καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν.» (e la luce splende nella tenebra, ma la tenebra non l’ha compresa).[45]

Questo movimento del sole attraverso l’oculo rimanda ad un altro concetto platonico del Timeo, ossia quello del tempo come «immagine mobile dell’eternità».[46] Potendolo osservare dal basso, infatti, l’oculo risulterebbe sempre illuminato per tutto il periodo dell’arco diurno, mentre le alternanze di ombra e luce si svolgono al disotto di esso. Un’analogia visiva per il rapporto eternità-tempo a nostro parere assai calzante.

Convinzione rafforzata dall’assenza, in questa villa, di meridiane in facciata, come ad esempio nella villa di Maser, a sottintendere forse che essa stessa è orologio cosmico. Le meridiane erano presenti spesso in ville dove si svolgeva anche un lavoro esteriore, nei campi, mentre a villa La Rotonda, nell’intenzione del committente o nell’interpretazione dell’architetto, vi si sarebbe dovuto svolgere solo un lavoro interiore, su di sé.

Come l’iniziazione che si coltivava negli antichi templi è uscita dalle tenebre dei misteri antichi, così con La Rotonda Palladio realizza un’opera letteralmente scolpita attorno alla luce, e messa al contempo sotto la luce del sole, nelle quattro direzioni cosmiche.

Conclusione

Con queste poche considerazioni vogliamo quindi ipotizzare che quest’opera in particolare di Andrea Palladio sia anche simbolo della metamorfosi interiore dell’uomo, oltre che una manieristica applicazione degli stilemi e degli insegnamenti tipici del Rinascimento.

Osservando rapidamente la sua vita, possiamo vedere come la prima parte sia caratterizzata da una iniziazione della volontà, nello svolgimento dell’umile mestiere di spaccapietre o lapicida che dir si voglia. A questa possiamo associare il concetto vitruviano di firmitas, ossia forza. A questa segue un’educazione del sentimento coltivata nella bottega di Pedemuro, dove comincia a cimentarsi con i primi ornamenti. Fase questa che potremmo associare alla venustas vitruviana, cioè bellezza. Infine la fase di educazione del pensiero e dell’anima tout-court, attraverso la conoscenza e la frequentazione di Trissino; epoca quindi della utilitas di Vitruvio, o anche saggezza.

Tappe di evoluzione, almeno dal punto di vista simbolico, che troviamo in tutte le scuole misteriche antiche. Detto ciò, continuiamo a non poter affermare con certezza che Palladio sia stato un iniziato, sebbene, con questo tipo di uomini, condividesse la caratteristica di essere di poche parole[47] e di carattere benevolo con tutti, oltre che imperturbabile. Senza dubbio è stato un essere umano assai evoluto, anche per i tempi e l’ambiente in cui si è trovato a vivere.

Da ultimo, notiamo come la sua parabola sembri collimare con quanto Rudolf Steiner ebbe a dire riguardo all’iniziazione, in una lezione riservata ad una cerchia ristretta di allievi:[48] attraverso la volontà (forza) edifichiamo la parte più spirituale di noi stessi, trasformando direttamente il corpo fisico, come facevano già in antico gli yogi. Coltivando la bellezza attraverso i sentimenti, edifichiamo il corpo compassionevole del nostro essere. Infine, votandoci alla saggezza, trasformiamo la nostra anima, metamorfosando l’amore fisico in amore universale. Tutte caratteristiche che fanno di Andrea Palladio un vero e proprio architetto dello spirito.

Note

[1] G. Beltramini, Palladio privato, p. 41.

[2] A. Palladio, I quattro libri dell’architettura, Libro secondo, nota 18, p. 414.

[3] Ivi, p. 47 e sgg.

[4] M. T. Coughlin, From mythos to logos Andrea Palladio, Freemasonry, and the triumph of Minerva, p. 159.

[5] L’incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero avvenne nella chiesa di San Petronio di Bologna, il 24 febbraio del 1530. Due giorni prima, il 22 febbraio 1530, sempre papa Clemente VII lo incoronò Re d’Italia, con la Corona Ferrea dei Re longobardi, nel Palazzo pubblico della città, oggi Palazzo d’Accursio.

[6] Probabilmente a seguito delle sue frequenti permanenze in Germania.

[7] L’Italia liberata da’ Gotthi narra in ventisette libri la guerra contro gli Ostrogoti, promossa nel VI secolo dall’imperatore bizantino Giustiniano e combattuta in Italia dal generale Belisario. Trissino trasse tutte le informazioni storiche esclusivamente da La guerra gotica, di Procopio di Cesarea, storico bizantino che, in qualità di consigliere e segretario dello stesso Belisario, partecipò in prima persona a tutte le guerre volute da Giustiniano.

[8] Sebbene gran parte della storiografia li definisca “leggenda”, è certo che a tali incontri partecipò un intellettuale di spicco e fervente anabattista, Lelio Socini (o Sozzini).

[9] I movimenti anabattisti erano correnti protestanti che, pur differenziandosi tra di loro per alcuni apsetti dottrinari, avevano in comune il principio basilare che il battesimo dovesse essere impartito solo a coloro che, giunti all’età adulta, avessero autonomamente scelto di riceverlo. Rifiutavano pertanto il battesimo infantile, in quanto pratica non attestata nel Nuovo Testamento. Di conseguenza, essi formarono comunità da loro sstessi definite di “veri credenti” alle quali erano ammesso solo quelli che ricevevano nuovamente il battesimo, onde il nome con cui venivano definiti dagli altri. Per questi, invece, non si trattava di un vero e proprio ri-battesimo, poiché ritenevano nullo quello impartito alla nascita.

[10] Jacques-François Lefranc (30 marzo 1739 – 2 settembre 1792) fu un abate francese del seminario della Congregazione di Gesù e di Maria, a Caen, nonché autore anti-massonico.

[11] J.F. Lefranc, Le voile levé pour les curieux ou les secrets de la Révolution révelés à l’aide de la franc-maçonnerie: «Mais il faut remonter plus haut pour avoir la première et la vraie origine de la franc-maçonnerie. Vicence fut le berceau de la maçonnerie en 1546. Ce fut dans la société des athées et des déistes, qui s’y étaient assemblés pour conférer ensemble sur les matières de la Religion, qui divisaient l’Allemagne dans un grand nombre de sectes et de partis, que furent jetés les fondemens de la maçonnerie: ce fut dans cette académie célèbre que l’on regarda les difficultés qui concernaient les mystères de la Religion chrétienne, comme des points de doctrine qui appartenaient à la philosophie des Grecs et non à la foi.», p. 19 e sgg.

[12] Francesco Zorzi, o Giorgi (Venezia 1466 – Asolo 1540) fu frate francescano, teologo e architetto, oltre che seguace delle correnti neoplatoniche fiorentine (in specie di Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola), e conoscitore della qabbalah ebraica. Ricevette l’incarico dal doge di Venezia, Andrea Gritti, di scrivere un memorandum sullo stato dei lavori assegnati a Jacopo Sansovino. In quel documento suggerì di fissare le proporzioni dei vari elementi secondo i rapporti musicali di diapason (ottava, 1:2) e diapente (quinta, 2:3), che Platone, nel Timeo, considera accordi cosmici.

[13] Saverio Campanini, Saggio Introduttivo, “Premessa”, p. VII, in F. Zorzi, L’armonia del mondo.

[14] J. Anderson, The Constitutions of the Free-Masons (1734).

[15] Si veda D. Stevenson, The Origins of Freemasonry. Scotlands Century, 1590 to 1710, p 8 e sgg. e anche il cap 3.

[16] A. Faivre, L’Esoterismo occidentale. Metodi, temi, immagini, p. 9 e sgg.

[17] Ibidem.

[18] J. Marques-Riviere, Storia delle dottrine esoteriche, p. 7.

[19] Filosofo greco vissuto tra il 550 ca. e il 480 ca.a.C. Intorno al 490, compose un’opera che lo rese famoso, di cui restano solo circa 100 frammenti.

[20] Il tempio era considerato per la sua bellezza e imponenza una delle sette meraviglie dell’antichità.

[21] Verità in greco si dice a-letheia, letteralmente “non nascondimento”, perciò emanazione, manifestazione.

[22] R. Steiner, Aspetti dei Misteri antichi, VI conf. del 2/12/1923, p. 123

[23] Il mondo fisico è solo una immagine del mondo ideale, e la conoscenza di esso non può essere se non quel tipo di conoscenza che compete a quel tipo particolare di essere che è proprio dell’immagine che riproduce sensibilmente appunto un modello ideale. Solo del mondo ideale è possibile una conoscenza perfetta.

[24] Sono infatti prese in considerazione sole quelle proporzioni che non danno luogo a numeri irrazionali, come ad esempio la proporzione geometrica, ma solo quella aritmetica e armonica. Per esempio: la media aritmetica tra 6 e 12 è 9, perché 9 è maggiore di 6 e minore di 12 in ragione di 3. La media armonica tra 6 e 12 invece è 8, perché 8 – 6 = 2, che è 1/3 di 6, e 12 – 8 = 4, che è 1/3 di 12. La media geometrica tra 6 e 12 è invece 6 √ 2 (12 : x = x : 6, quindi x2 = 72, cioè x = 6 √ 2), che non è un numero intero né esprimibile attraverso un rapporto frazionario o razionale che dir si voglia, ma è appunto “irrazionale”, inutile ai fini della suddivisione pitagorica dell’ottava musicale.

[25] Platone, Timeo, 69 B.

[26] Plutarco, Questioni conviviali, VIII, 2, p.

[27] I primi due atti di creazione del Demiurgo si basano su rapporti armonici fondamentali: diapason, il doppio o intervallo di VIII, il diapente, una volta e mezzo, cioè 3/2, o intervallo di V.

[28] Facciamo notare come dalla radice aug- derivino anche l’aggettivo augusto (sinonimo di sacro, degno di venerazione, ecc..) e il sostantivo autorità.

[29] Il lituo (dal verbo litare, che significa offrire sacrifici agli dei per ottenere auspici favorevoli) era un bastone ricurvo ad un’estremità, quella rivolta generalmente verso l’alto. In seguito questa estremità assunse la forma di una spirale. L’attuale pastorale, usato dai vescovi cattolici così come dal papa, ne è il diretto discendente.

[30] «È vero, senza menzogna, certo e verissimo, che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare i miracoli della cosa unica

[31] In latino sanctus, participio passato del verbo sancire. Atto dello stabilire una sanzione in caso di recessione di un patto.

[32] M. Migliorini, Tempio e persona, I parte, (v. Sitografia).

[33] A. Palladio, op. cit., p. 195.

[34] Non a caso su praticamente tutti e sette i colli di Roma furono edificati numerosi templi: Giove Ottimo Massimo, Giunone e Minerva sul Campidoglio; Apollo sul Palatino; Serapide sul Quirinale; Divo Claudio sul Celio; Minerva, Diana e Giunone sull’Aventino; Minerva Medica sull’Esquilino.

[35] A. Palladio, op. cit., p. 97, facente parte del titolo del Libro stesso.

[36] Gv 1; 14, Nestle 1904.

[37] Da skéné deriva anche il termine scena, riferito al mondo della recitazione e della rappresentazione. Si veda l’interesse del giovane Palladio per gli allestimenti provvisori

[38] A. Palladio, op. cit., Libro IV, p. 255.

[39] Platone, Timeo, 33 B.

[40] Essi sono: circolare; da destra a sinistra; da sinistra a destra; avanti e indietro; indietro e avanti; dall’alto al basso; dal basso all’alto.

[41] Platone, Timeo, 34 A.

[42] Immagine tratta da R. Streitz, La Rotonde et sa géométrie, p. 16.

[43] Il Wittkower afferma che per le facciate delle sue ville «Palladio scelse il frontone del tempio classico, che gli offriva un motivo architettonico associato ai caratteri della nobiltà e della dignità». Vedi R. Wittkower, op. cit., p. 75, e anche A. Palladio, op. cit., p. 173.

[44] A. Palladio, op. cit., p. 116: «La Sala è nel mezo et è ritonda, e piglia il lume di sopra».

[45] Gv 1; 5, Nestle 1904.

[46] Platone, Timeo, 37 D.

[47] Vedi R. Wittkower, op. cit., p. 65 e A. Palladio, op. cit., p. 9.

[48] R. Steiner, Lezioni Esoteriche 1904-1909, p. 111.

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Beltramini, Guido. Novità su Palladio, scoperti tre disegni, http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2010/03/palladio-scoperti-tre-disegni_PRN.shtml

Reale, Giovanni. La dottrina dell’origine del mondo in Platone con particolare riguardo al “Timeo” e l’idea cristiana della creazione, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, gennaio-marzo 1996, Vol. 88, No. 1 (gennaio- marzo 1996), Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, https://www.jstor.org/stable/43062505

 

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